"Era un uomo (Antonio Ligabue)
certamente disperatamente solo che
cercava, ha cercato, da artista, una
verità, la sua verità. Questo è un uomo
nato intanto con grande infelicità
originaria, poi con probabilmente grandi
problemi di comunicazione con le altre
persone. Quando non si comunica con la
gente, come si comunica? Creando,
esprimendosi, facendo appunto nella
fattispecie il pittore. Quello aborigeno è
stato il suo modo di dialogare col mondo e
di capire il mondo."
Mi reggo a fatica già quando
arrivo, troppo stanca e lo stomaco vuoto,
dai disegni che sembrano incisioni fino ai
quadri corposi di colore ed alle sculture
di materia energica, è un crescendo che
seguo senza forze.
Non c'è nemmeno un cielo terso nei
suoi lavori, quell'aria cupa da prima del
temporale, prima della caduta… e poi il
temporale arriva e la pioggia somiglia a
schegge di vetro come punizione di qualche
divinità…
I suoi spietati autoritratti mi
rattristano, ne comprendo lo stato d'animo
e mi sento isolata e schiacciata in mezzo
a tanta gente…
Nell'ultima sala tutte le sue
tigri, mi affascinano queste gole aperte,
i denti aguzzi e il roseo pozzo profondo
che ti inghiotte… e il corpo che si flette
innaturale ma felino in una lotta che
impersonifica la bestia che è nell'uomo.
Fuori, nel parco, che si confonde
nell'orizzonte delle colline parmensi, la
stessa elettricità nell'aria che mescola
il blu con il grigio, l'acqua che si
trattiene appena, e indifferenti i pavoni
dal manto cangiante come i broccati più
belli.
Verso l'Appennino risaliamo le
curve per ritornare alla Bismantova, la
mia bella nave arenata… ne avevo un
ricordo esaltante e lo voglio riprovare.
Risalgo lenta per conservarmi,
sola con i miei pensieri, alzo lo sguardo
alla pietra che sale con me ma non riesco
a sostenere la verticale perfetta ed ho
l'impressione di cadere all'indietro.
Cammino e gli alberi sono una volta di
fronde bagnate mosse dal vento. Mi
arrampico e ho la terra tra le dita, ma è
giusto che sia anche faticoso se voglio
guadagnarmi un qualche premio.
Quando arrivo in cima sul pianoro
verde, l'aria è carica di umidità e la
sento tutta, l'erba è alta e sono zuppa
fino alla caviglia… sono sola, l'unica che
è arrivata fin lassù con quel tempaccio, e
parlo da sola, e sussurro versi di
canzoni, e pezzi di lettere che fanno
male…
Sul bordo roccioso della pietra
senti che il mondo è finito proprio li, la
vertigine della parete rocciosa che scende
è una calamita verso il basso, impossibile
guardare troppo oltre. Alzo lo sguardo e
la foschia rimanda appena al contorno
reale delle cose, è tutto rarefatto come
in un sogno, e barcollo sospinta dal
vento… l'orizzonte non esiste e nemmeno
questa non vita, sussurro al vento e a me
stessa le parole musicali della Donà
"…difficile è trovarsi ora, più facile è
perdersi…", e cade giù dai miei occhi,
solitaria, una lacrima che mi solca la
guancia e precipita verso un fondo
inesistente.
E piove…
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