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Lu turdu vae vulandu alla furesta
Sente lu fiscu e rattu se 'bbanduna
La cerva vae pascendu l'erva resta
Nu bide lazzu e sula se 'mprigiuna
Lu pisce vae natandu all'acqua fresca
Nun bide l'amu ci morte li duna
Cussì 'ccapai cu' tie ci tantu t'amu
Tu si' la pescatore e porti l'amu
Cussì 'ccappai cu tie frunte
fatata
Ieu su' la cerva ci stae 'mprigiunata
Cussì 'ccappai cu tie stiddha lucente
La prima fiata ci tinni a mente.
"La
furesta"

LA GABBIA DORATA


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Le antiche
religioni orientali consideravano i
serpenti come divinità
(o come geni del bene e del male).
Il cambiamento di pelle a cui è
soggetto il serpente ogni anno,
fu considerato presso gli
antichi l’immagine simbolica
delle felici trasformazioni spirituali
e fisiche dell’uomo.
Il serpente è stato accolto in
qualche caso in chiave positiva
dalla simbologia cristiana:
oltre alle qualità malefiche
comunemente attribuitegli,
è talora un simbolo di Cristo.
Tuttavia nel cristianesimo prevale la
tendenza a considerarlo,
a partire dall’interpretazione
simbolica della Genesi,
come simbolo di Satana e della
malvagità,
spesso associato al peccato di
lussuria.


Melampo era un discendente
di Eolo, figlio di Elleno. Nella mitologia
greca é considerato in genere il primo
mortale dotato di poteri profetici. Sin
dall'adolescenza Melampo aveva ricevuto il
dono della divinazione. Avendo scoperto un
serpente ucciso dai suoi servi, il giovane
l'aveva sepolto e, visti i suoi piccoli
abbandonati nel loro nido, li aveva
allevati. Riconoscenti, i piccoli rettili
gli avevano leccato le orecchie con la loro
lingua biforcuta. Grazie a questa
purificazione, Melampo fu in grado di capire
il linguaggio degli animali e degli uccelli.
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