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IL PENSIERO DOMINANTE
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“Ieri ho fatto un sogno che io suono un coito per te quando sei confusa tra la gente e guardi le mie mani che incantevolmente scuotono le corde del tuo corpo…”
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Se non avessi avuto dubbi sulla materialità, a questo punto avrei dovuto tagliare via strati sottili di pelle. Uno strato dopo l’altro, fino al nulla per divenire nulla. “e fra le mie mani ti fai fradicia e scorrevole e mi scivoli con stridore amplificabile...”
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Lo sento arrivare. Ha passo leggero. Arriva dal passato, ha fattezze arcaiche. Il sonno. O almeno credo che sia. Questa strana sensazione tra il sogno e il dormiveglia, confine sottile tra la parola e l’immagine. Distendo le gambe, mi giro su di un fianco, mi rigiro del tutto, gambe appena dischiuse. S’avvicina al mio letto, ha consistenza ultraterrena, ma non può che essere il suo spettro. E comincia il rituale. Con fare esperto, la garza, fascia bianca da tessere, dalla caviglia a salire. Questo fasciare, stringere, circuire, proteggere, nascondere, contenere, ma anche privare, sottomettere, annientare in una lotta impari, ed io lascio fare, assecondo il desiderio di entrambi: del sogno e del canto. Sale, sale lento, tocca il ginocchio, copre in una stretta candida e rigeneratrice la pelle sensibile tra le gambe.
“Ieri ho fatto un sogno in cui sogni che ti sei avvinta a me, ma non sai che anch'io ti vorrei. Io ti vorrei...”
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Che
sia realtà o sogno, non ha importanza, perché si
lascia soffocare
dall’assenza di luce. Mi
offre una corazza contro i cattivi consigli dei
desideri, e nell’assenza di
gravità, attraverso i territori aridi del silenzio, Fino
al mattino, fino a quando la luce, pian piano,
arriverà ad inondare il
perimetro del mio letto, Sfuma il presagio, arriva il risveglio, arriva una nuova lotta giornaliera che ha perso la speranza.
“E non vedi che son dietro le tue spalle rosee e non senti che il mio desiderio è sui loro petali (scende leggero fra concavità violacee), ma la trama del sogno prevede che restiamo immobili... Io ti vorrei...”
MARLENE KUNTZ
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